lunedì 16 gennaio 2012

14. BIOGRAFIA " IL BEATO PAOLO D'AMBROSIO (1432 - 1489) " di PADRE GIOVANNI PARISI (1968)

P. GIOVANNI PARISI, Florilegio serafico del Terz'Ordine Regolare di S. Francesco. S. Lucia del Mela 1968, pp.127-148.

Nacque, questo nostro Beato, nella ridente cittadina di Cropani, in provincia di Catanzaro, il 24 gennaio 1432, dall'antica e modesta famiglia degli Ambrosi, oggi completamente estinta. La fortunata cittadina, che gli è grandemente devota e venera con solennità e sentita gratitudine le sue reliquie, sorge su un'amena e pittoresca collina ricca di verde e di oliveti e domina la lussureggiante e tortuosa vallata del Crocchia, l'immensa distesa della marina e l'ampio golfo di Squillace.
Fin della prima fanciullezza e prima ancora di raggiungere 1'uso di ragione, come asserisce il P. Fiore (2) e come si legge anche in un manoscritto del P. Giovanni Mercurio, ambedue cappuccini, il grazioso pargoletto, che al fonte battesimale ebbe il nome di Paolo, diede visibili segni della sua futura santità, mostrandosi già adulto assennato, modesto e virtuoso tanto che di quell'età, come bellamente si esprime il predetto P. Fiore, altro non ebbe che il tempo. L'indole buona e disciplinata fece ben presto del nostro Paolo un giovane modello, il quale, mentre era d'incitamento e d'esempio ai suoi coetanei, si andava sempre più avanzando nelle vie del bene mercé la vigile ed accurata educazione che riceveva dai suoi pii e santi genitori. Essi, tutti amore per il loro figliuolo, benché poveri, come vuole la tradizione cropanese, nulla tralasciarono per bene educarlo sia nel campo delle lettere come in quello dei buoni costumi. Come e quanto il pio giovane facesse tesoro di questi sani e cristiani intenti lo dimostrano la serietà del suo agire, le conversazioni sempre gravi, mai fanciullesche e inutili, e per lo più con persone assennate e timorate di Dio. Il Signore, tra gli altri non comuni doni, aveva elargito al nostro giovane un ingegno brillante e pronto a percepire anche le cose più difficili alla sua età, e fu ciò che maggiormente spinse i virtuosi genitori ad avviarlo con grave loro sacrificio alla carriera degli studi. All'acutezza dell'ingegno e alla ferma volontà di progredire negli studi intrapresi, Paolo accoppiava la tenace resistenza a tutto ciò che poteva avere l'ombra del peccato e il fermo proposito di corrispondere sempre più generosamente ai richiami della divina grazia che lo invitavano a una vita sempre più perfetta. Ed era così avanti nell'esercizio di ogni virtù da meritare dai suoi compaesani, e da quanti ebbero la ventura di conoscerlo ed avere con lui familiarità, il bel titolo di Angelo. L'ubbidienza, l'umiltà, la purezza dei costumi infioravano in modo straordinario la sua vita e gli creavano d'intorno un'atmosfera di riverenza e un fascino di celestiale attrattiva.
Il segreto di tanto progresso spirituale era la preghiera umile e quasi continua. L'angelico giovane ne comprese tutta la necessità ed importanza, di modo che la sua mente e il suo cuore erano continuamente rivolti a Dio utilizzando in ciò, sia in casa che fuori, ogni ritaglio di tempo libero. La devozione alla Vergine, l'amore ardente a Gesù nel Sacramento dell'Eucaristia, indispensabili ad ogni anima pia che voglia progredire nella virtù, dovettero essere per lui anche il conforto più grande ed efficace nei momenti di angustia, di assalti del nemico d'ogni bene, e la forza per superare le tentazioni e quanto poteva anche minimamente offuscare 1'innocenza angelica della sua anima.
Giunse finalmente per il fortunato giovane l'ora in cui Dio si benignava strapparlo dalle insidie e dai pericoli del mondo trapiantandolo, come pianta amorevolmente scelta, nel giardino ubertoso e profumato del nostroTerz'Ordine Regolare, che proprio in quel tempo, anche nelle Calabrie, viveva un periodo di grande fervore religioso e di vera rinascita spirituale.
Fiorenti comunità di anime assetate di religiosa perfezione erano infatti sorte, proprio in quegli anni, in varie località di quella regione. Così, per limitarci alla sola Calabria, nel cui ambito Cropani si trovava, nel 1433 a Belcastro era stato fondato il convento dello Spirito Santo; nel 1439, ad opera del P. Biagio Margioni, era stato aperto quello di S. Francesco ad Oriolo; un terzo, quello di S. Maria delle Grazie, nel 1440 era stato fondato dallo stesso P. Margioni in Bisignano; un altro ancora, sotto l'invocazione di S. Nicolò, nel 1441 era stato eretto in Belvedere; nel medesimo anno 1441, o in quello precedente, come vuole qualche scrittore, un altro ancora, dedicato al SS. Salvatore, ne era stato fondato presso la stessa cittadina di Cropani, la fortunata patria del nostro Beato.
La fondazione, quasi contemporanea, di tutti questi conventi ci dice in modo chiaro quale santo fervore animasse allora i Terziari Regolari anche in Calabria, dove già, seguendo il nuovo orientamento dell'Ordine, si cercava di abbandonare la vita eremitica e fondare conventi nei luoghi abitati. Infatti il nominato P. Margioni, infaticabile e zelante apostolo calabrese, si era a tal fine recato personalmente a Firenze verso il 1439 e aveva ottenuto da Papa Eugenio IV una Bolla in cui gli si concedeva di fondare conventi non più in luoghi solitari e segregati dal consorzio umano, come fino allora si era usato, ma addirittura nelle città. Pochi anni dopo tale importante concessione pontificia e solo tre anni prima che entrasse nell'Ordine il nostro Beato, cioè nel 1447, Nicola V, con la sua Bolla Pastoralis officii del 20 luglio, veniva a coronare il lento e faticoso cammino verso lo stato regolare compiuto in oltre due secoli di vita dal Terz'Ordine, fino allora essenzialmente eremitico ed ospedaliero. In virtù di tale storica Bolla, i religiosi che in esso militavano, potevano ormai riunirsi tutti sotto un unico e medesimo Ministro Generale, da essi stessi eletto, adattarsi un proprio abito religioso che li distinguesse dai semplici eremiti, che tanti ne restavano ancora sparsi per la Penisola, e formularsi apposite regole e costituzioni, che dessero una ben precisa fisionomia e una salda strutturazione al sacro Istituto ormai gerarchicamente organizzato.
Era quindi naturale che il nostro Paolo, dovendo entrare in qualche Istituto religioso, si orientasse verso il nostro Terz'Ordine Regolare, che tanta ricchezza di spiritualità proprio in quegli anni mostrava. II passo decisivo egli lo fece il 20 marzo 1450 quando contava diciotto anni di vita. E' questa 1'età esuberante, infiorata di dolci speranze, di sogni dorati, in cui tutto sembra sorridere, mentre la fantasia si culla nell'accarezzare mete lontane, che appaiono sublimi ed affascinanti, e che il più delle volte nascondono le più amare delusioni.
Paolo, dunque, dà un addio al secolo e si chiude per sempre tra le sacre mura del convento del SS. Salvatore, che pochi anni prima, come abbiamo già accennato, i Padri del Terz'Ordine avevano fondato fuori le mura di Cropani (3), indossando con santo entusiasmo il sacro abito della penitenza per dare subito inizio all'anno di noviziato come chierico destinato al sacerdozio. In tal modo egli trionfava definitivamente sul mondo, che tanto aveva lottato per averlo, e poteva ormai camminare a passi da gigante nella pratica di quelle virtù che tanto eroicamente aveva cercato di acquistare stando ancora nel secolo. Quali santi propositi non avrà egli fatto varcando la soglia di quelle sacre mura che lo accoglievano come novizio, nel coprirsi del ruvido saio francescano, nell'abbracciare un tenore di vita che, specie allora, era quanto mai rigido ed austero! In questa nuova palestra d'ogni virtù, il giovane novizio, aiutato dal lavorio interiore della divina grazia, si sentiva ardere di giorno in giorno sempre più di amore verso le cose celesti e dal desiderio di raggiungere le più alte vette della religiosa perfezione. Il silenzio profondo, 1'astinenza rigorosa, la frequenza agli atti di comunità, e soprattutto l'umiltà negli esercizi più bassi erano per il nostro Beato cosa ordinaria tanto da diventare nel chiostro ben presto, nonostante che fosse giovanissimo e ancora agli inizi della vita religiosa, edificante ed esemplare modello di ogni virtù anche per i confratelli più provetti.
Durante il corso degli studi filosofici e teologici, compiuti con grande impegno, il giovane chierico proseguì con crescente alacrità nella pratica delle più sode virtù religiose, rendendo sempre più rigido l'aspro tenore di vita intrapreso e coltivando un cosi basso concetto di sé da non credersi neppure degno, a guisa del Patriarca S. Francesco, di ascendere al sacerdozio. Ma il voto della santa obbedienza, che aveva solennemente promesso di osservare per tutta la sua vita, gli impone di non rifiutarsi ai divini voleri e cosi, nel 1458, col candore nell'animo e con la certezza di servire meglio il Signore nella qualità di suo ministro, si sottomette docilmente alla volontà dei suoi Superiori ed è sacerdote per sempre.
Elevato alle incomparabili altezze del sacerdozio, Paolo sale ogni giorno, con commossa devozione, l'altare per offrire a Dio il santo sacrificio. Il suo cuore, staccato da ogni umana creatura, arde sempre più di amore per il suo divino Redentore e per unirsi più intimamente a Lui vorrebbe vivere in una completa solitudine e attendere unicamente alla preghiera e alla contemplazione dei divini misteri, ma i suoi confratelli, che ben conoscono le sue rare virtù e le singolari doti del suo animo, lo eleggono Superiore del convento.
In questo suo nuovo ufficio i1 P. Paolo si studia di rendersi tutto a tutti e modello d'ogni virtù, diventando oggetto di ammirazione tra i religiosi per la scrupolosa puntualità agli atti comuni, lo zelo della regolare osservanza e la paterna bontà che mostra verso i suoi sudditi. La fama della sua straordinaria santità non tardò a diffondersi anche nei paesi vicini, sicché gente d'ogni ceto e condizione cominciò ad affluire da ogni parte al convento del SS. Salvatore, tutti in cerca del P. Paolo per avere da lui consiglio nei dubbi e nelle ansietà di spirito e soprattutto conforto nelle molteplici angustie e traversie della vita.
II Servo di Dio, come usano sempre i Santi, tutti ascolta con ammirabile pazienza e carità ed ha per ciascuno una parola di conforto e di paterna esortazione che scende a lenire 1'animo esulcerato. Non vi è alcuno -riferiscono i suoi biografi - che si rechi da lui preoccupato o triste e non se ne parta in qualche modo consolato. Non di raro il Signore stesso si compiace di rendere manifesta la santità del suo Servo col dargli il dono della scrutazione dei cuori, sicché alle volte, prima ancora che gli si apra il proprio interno o che si proferisca parola sullo scopo della propria venuta, egli conosce perfettamente ogni cosa e dà senz'altro gli opportuni rimedi e consigli a seconda dei bisogni di chi ha fatto a lui ricorso.
Mentre il P. Paolo era Superiore nel predetto convento del SS. Salvatore un fatto straordinario raccontato dai suoi biografi e dallo stesso nostro P. Bordoni (4) , contribuì grandemente a rendere sempre più nota la sua santità. Si apportavano dei necessari restauri a una parte del fabbricato quando i muratori, intenti a sistemare una grossa trave su due muri, riscontrarono che era troppo corta tanto che poggiata sopra una parete non arrivava a toccar l'altra. Chiamano il P. Paolo, che in quel momento era in preghiera, e gli dicono che, essendo quella trave troppo corta, occorreva procurarne un'altra adatta allo scopo. "Provate di nuovo - risponde il Beato - a ricollocarla sulle due pareti". I muratori, quantunque sapessero che non arrivava, la provarono di nuovo tanto per accontentarlo. Ma grande fu la loro meraviglia quando riscontrarono che essa era realmente della lunghezza richiesta.
Di fronte a tanto prodigio i muratori e quanti erano presenti si fecero un gran concetto dei meriti e della santità del Servo di Dio, il quale, con la sua preghiera, aveva allungato una trave secca e stagionata quanto era necessario allo scopo.
Per i1 grande accorrere di fedeli e di devoti il convento, quantunque solitario, cominciò a rendersi poco adatto al raccoglimento e alla contemplazione, a cui ardentemente aveva sempre aspirato il Servo di Dio. La sua santità, ormai conosciuta, richiama troppa gente perché egli passa vivere nascosto nella bramata solitudine, e ottiene dai suoi Superiori di potersi trasferire nel solitario convento di S. Maria dello Spirito Santo, in una contrada chiamata Scavigna, tra Cropani e Belcastro, convento abbandonato dai religiosi del Terz'Ordine nel 1652 (5) ed oggi caduto in completa rovina. In questo luogo del tutto solitario e lontano dal consorzio umano il P. Paolo passa gran parte della sua vita religiosa tutto dedito alla mortificazione, alla penitenza e alla contemplazione più profonda. Lo spettacolo della natura, che lo circonda, lo aiuta potentemente ad elevarsi fino a Dio, e, come un tempo il suo Serafico Padre S. Francesco, egli gode nell'unire gli slanci del suo cuore e le misteriose ascensioni del suo spirito al canto degli uccelli e all'inno incessante che le creature tutte, nel loro muto linguaggio, innalzano al loro Creatore. Da questa sua solitudine egli non esce che assai raramente e soltanto per dovere d'ufficio o quando il bene delle anime glielo impone essendo egli anche in Scavigna Superiore del convento e richiesto alle volte nei dintorni per ragione di sacra predicazione. Il P. Bordoni dice, infatti, di lui che era potente con la parola e con le opere e che molte anime, al sentirlo predicare, abbandonavano il vizio e si davano a Dio.
Fu probabilmente durante il tempo che il Servo di Dio visse in Scavigna che si verificò un episodio, il quale dimostra, tra tanti altri, come fosse in lui ordinario lo spirito di profezia e di chiaroveggenza. Aveva egli consegnato a sua madre, che era andata a trovarlo nel suo convento, alcune sue coserelle per distribuirle ai poveri. Da questi ella ricevette, in segno di gratitudine e come in cambio, tre uova, che credette bene di portare a questo suo figlio Paolo. Ma prima ancora di dargliele il Servo di Dio, che per interna ispirazione conosceva già come avesse avuto quelle uova, cominciò a riprenderla e le ingiunse di restituirle ai poveri, dai quali nulla avrebbe dovuto accettare.
Il P. Paolo lavorò anche molto per la dilatazione e consolidamento dell'Ordine in Calabria; sappiamo, infatti, che nel 1477, insieme a due altri Padri della Provincia, Bernardino Nigra e Ludovico Di Marco, si adoperò per la fondazione del convento di S. Maria di Loreto nella cittadina di Terranova, ora non più esistente e soppresso anch'esso nel 1652.
Rimasto per tanti anni nascosto, a guisa degli antichi anacoreti, nella solitudine di Scavigna, volle finalmente il Signore, essendo anche prossima la sua fine, far conoscere al mondo la sua straordinaria santità. Correva l'anno 1488 e il nostro Paolo è costretto a recarsi col P. Bernardino da Bisignano, allora Ministro Provinciale, al Capitolo Generale, che il 25 aprile di quell'anno si celebrava in Lombardia nel convento di S. Maria di Pizzighettone in Montebello, essendo stato eletto per suo compagno.
Lascia, dunque, il nostro Beato, il prediletto convento e in compagnia del suo P. Provinciale intraprende il lungo e faticoso viaggio. In Roma, ove i due viaggiatori fecero sosta, celebrando il P. Paolo col suo solito fervore il santo sacrificio nella chiesa di S. Maria della Consolazione, dopo la consacrazione, al Memento dei morti, mentre era tutto raccolto e immobile sull'altare, una nube misteriosa, come se fosse discesa dal cielo, lo avvolge in tutta la persona nascondendolo a lungo agli occhi attoniti dei fedeli, che si trovano presenti ad assistere alla Messa.
Al termine del sacro rito, il suddetto Provinciale P. Bernardino, del quale il P. Paolo era compagno di viaggio, gli domanda come mai, contrariamente al suo solito, si fosse fermato tanto tempo nel fare il Memento dei morti. Ma il Servo di Dio, mostrandosi più che mai reticente, non voleva dire il vero motivo e adduceva il pretesto che molti erano i defunti da ricordare in modo particolare. E i1 P. Provinciale, insistendo: "Sai - gli disse - che parecchi si sono accorti che il tuo volto era tramutato come se qualche cosa di assai doloroso ti fosse in quel momento accaduto e non pochi dei presenti sono anti rimasti meravigliati e altri forse anche scandalizzati?".
Il Servo di Dio, messo in tal modo alle strette dal suo Superiore, manifesta candidamente, nel mentre che si scioglieva in lacrime, come in quel momento il Signore si era compiaciuto di rivelargli che in Cropani moriva proprio allora suo padre e che quindi era stato ben giusto e per lui anche doveroso dargli 1'ultimo abbraccio e recitargli un Requiem.
Questo singolare prodigio di bilocazione, di cui ci fanno fede i suoi biografi, che i1 Signore, nella sua infinita potenza ha voluto concedere al nostro Beato, come pure l'ha concesso a S. Antonio di Padova mentre predicava e ad altri Santi della Chiesa, colmò di tenera commozione i fedeli, che ne furono spettatori e che ne furono messi a parte dallo stesso P. Bernardino.
Dopo la celebrazione del Capitolo Generale, in cui venne eletto a supremo moderatore dell'Ordine il P. Bernardo Settagni da Crema, religioso di grande pietà e prudenza, il Servo di Dio, prima di rientrare nel suo amato convento di Scavigna, in Calabria, per riprendere con rinnovato fervore la sua vita di penitenza e di preghiera, ottiene di potere visitare alcuni importanti santuari, quali quello dell'Averna, di Assisi e della Santa Casa di Loreto. Viaggiando poi verso Scavigna predice al fratello, che lo accompagna, la sua prossima fine.
Quando, nei primi del 1489, rientrò nel suo convento, fu un accorrere di fedeli e di devoti, felici di riaverlo finalmente in mezzo a loro, e tra questi fu particolarmente lieta di riabbracciarlo la sua cara e vecchia madre, ancora vivente. La gioia dell'umile donna fu immensa e molto godeva nel sentire raccontare dal figlio le meraviglie da lui visitate in quei tempi in cui era sempre una non comune avventura compiere viaggi sì lunghi.
Ben presto però tanta gioia si tramutò per lei in profondo cordoglio per averle il Servo di Dio rivelato che presto sarebbe passato di vita e che quindi quella era 1'ultima volta che in terra si vedevano. Soggiunse però subito, per consolarla, che tra non molto si sarebbero nuovamente riuniti in cielo.
Si ritirò poi nella sua amata solitudine per prepararsi come meglio gli era possibile al supremo passaggio, che il Signore gli aveva concesso di conoscere prima del tempo. Avvicinandosi l'ora estrema per una febbre, che lo travaglia per quattro o cinque giorni, chiede egli stesso che gli vengano amministrati gli ultimi Sacramenti, si raccomanda alle preghiere dei confratelli, che addolorati gli fanno corona d'intorno, e che, esortatili a perseverare nella regolare osservanza, benedice paternamente. Atteggiate poi le labbra a un dolce sorriso come se una visione angelica fosse apparsa a consolarlo, se ne volò serenamente al cielo in data del 24 gennaio 1489. Aveva 57 anni di età, dei quali 39 passati in religione.
Trionfali furono le esequie anche per i non pochi prodigi che in tale occasione ebbero luogo. Il popolo, che ha avuto la sorte di avere avuto un uomo come il nostro Beato, che per tutta la sua vita ha profuso favori d'ogni genere, che è stato per esso un parafulmine nello scongiurare con le sue virtù i divini castighi, e che è stato inestimabile consolatore e consigliere delle anime, nell'ora dolorosa, in cui viene rapito dalla morte, è naturale che non sappia contenere l'impeto della sua devota riconoscenza. Cropani diede lo spettacolo di una devozione senza pari allorquando si sparse la notizia della morte del suo grande concittadino e benefattore. Da Cropani, da Belcastro e da tutti i dintorni fu un accorrere di gente d'ogni ceto e condizione, desiderosa di rimanere a contemplare per l'ultima volta le amate sembianze.
In occasione della sua morte e delle sue esequie si verificarono, come abbiamo detto, non poche grazie e fatti prodigiosi, raccolti, come asserisce il P. Bordoni, dal predetto Provinciale P. Bernardino, che ne fu testimone oculare e che quindi è in tutto degno di fede.
Prima di lasciare la sua spoglia mortale il P. Paolo aveva espresso ai suoi religiosi il desiderio che subito dopo la morte venisse trasportato e inumato nel convento del Salvatore, presso Cropani, affinché riposasse defunto dove vivo aveva avuto la grazia d'essere ricevuto nell'Ordine e di professare il sacro Istituto, e anche perché prevedeva non lontana, come difatti poi avvenne, la rovina del convento di Scavigna.
Quando si sparse in Cropani la notizia della morte del Beato e, soprattutto, che i suoi resti mortali, per espressa sua volontà, dovevano essere trasportati e custoditi in questa sua città natale, e ciò nonostante che il Vescovo e il Clero della vicina Belcastro li desiderassero e avessero fatto del tutto per averli nella loro Cattedrale, una cassa si fece subito lavorare in vista di tesoro sì prezioso, foderata nell'interno di apposito drappo per riporvi il sacro corpo; e tutto il popolo, con a capo il Rev.mo Capitolo, il Clero Secolare e Regolare e le autorità cittadine, si avviò alla volta del convento di Scavigna. Quivi arrivati videro tutti che la cassa, fatta in tutta fretta e senza misura, non era adatta e, non sapendo come rimediarvi in un luogo cosi distante da Cropani, si era in grande confusione. In tale frangente non restò che rivolgersi con fiducia al Beato, e con stupore generale la cassa si vide prodigiosamente allungata e allargata tanto da potervi comodamente entrare il cadavere.
A siffatto prodigio è tradizione che un altro ne seguisse: i portatori, durante il lungo e disagiato cammino di circa quattro miglia per viottoli impervi e in aperta campagna, non solo non avvertirono la minima stanchezza ma ebbero la sensazione che la cassa fosse addirittura vuota fino a dubitare che i religiosi li avessero voluto ingannare trattenendo in Scavigna il sacro corpo. Solo quando si giunse al convento del SS. Salvatore e venne aperta la cassa si convinsero che la straordinaria leggerezza era stata del tutto prodigiosa.
Quel che pero rese ancor più visibile la santità de Servo di Dio fu il fatto che il benedetto cadavere, scoperto e lasciato per diversi giorni esposto al fine di soddisfare la grande devozione del popolo, che ininterrottamente vi accorreva da tutte le parti, di pallido ed estenuato che era per le penitenze e le continue mortificazioni praticate, fu osservato da tutti colorito, fresco e vegeto come di uomo che dormisse, e in più lo si vide, con stupore generale, emanare un sudore profumato e in tanta copia che molti ne inzupparono pezzuole e fazzoletti, coi quali si verificarono in seguito prodigi e guarigioni miracolose. Così, tra gli altri, un certo Mario Biondo di Misuraca, professore in lettere, che fu anche lui presente alle esequie del Servo di Dio, toccando un giorno la figlia agonizzante, nel mentre che con fiducia si raccomandava al Beato, col fazzoletto inzuppato un tempo del sudore di quel sacro corpo, ebbe la straordinaria consolazione di vedersela prodigiosamente guarita.
Attorno al feretro, rimasto per più giorni esposto al pubblico, fu un continuo spettacolo di pietà e di filiale tenerezza. Molti devoti non si contentavano di contemplare le venerate sembianze, ma facevano di tutto per avere qualche sua reliquia, specie dell'abito. Fu così che si passò a tagliuzzare gli indumenti che lo ricoprivano tanto che per ben due volte gli si dovettero rinnovare. Quando fu possibile dargli sepoltura, il sacro corpo venne devotamente riposto sotto l'altare maggiore della stessa chiesa del SS. Salvatore dei Padri del Terz'Ordine Regolare, accompagnando tutti la mesta cerimonia con lacrime e il Signore con numerosi prodigi (6).
Anche dopo la morte, specie nei primi anni, numerosi prodigi e guarigioni miracolose furono eloquente testimonianza della santità del Servo di Dio.
Un certo Francesco da Cropani, incapace a camminare per essere stato colpito da un sasso a un ginocchio e non riuscendo a guarire per quante cure facesse, si rivolge con fede al Servo di Dio ed immantinente si vede guarito.
Un vecchio, un certo Gian Paolo da Cropani, infermo da non potersi muovere e mostruosamente gibboso, si fa portare al sepolcro del Beato e di subito guarisce.
Crescenzio di Marco, del tutto sordo, riacquista l'udito col solo visitare il suo corpo.
Anche la città di Belcastro. che verso il Beato ha nutrito sempre una tenera devozione, ha visto tangibili segni della sua celeste protezione. Vi era colà una signora per nome D. Ilaria affetta da gravissima malattia per essere, insieme ad un suo figliuolo, tutta coperta di nere e fetide pustole. A nulla erano valsi i molti rimedi consigliati dai medici. Il 24 dicembre del 1490 si rivolse con fiducia al Beato e subito essa e il figlio riacquistarono la salute perduta.
Nella medesima Belcastro il diacono D. Dionigi nel 1494 viene liberato da un acutissimo dolore che lo tormentava in tutta la persona.
La città di Crotone ebbe a sperimentare l'efficacia della protezione del Beato. Una certa D. Armenia, dalle mani paralizzate, nel dicembre del 1491 ne riacquista l'uso in seguito a un voto fatto in onore del Beato. La stessa, nel dicembre del 1493, ottiene la guarigione del figlio, zoppo da molto tempo.
D. Florina di Misuraca, che aveva un labbro enormemente tumefatto e orribile a vedersi, non trovando alcun rimedio, nel dicembre del 1490 si passa sopra con fiducia un pezzetto di abito del Beato e subito il tumore scompare.
A conferma di queste e di numerose altre grazie, che il Beato in ogni tempo ha concesso e che qui omettiamo di riportare per amore di brevità, contro alcuni scettici e ipercritici, che ne disturbavano il culto e il fiducioso ricorso dei fedeli nei loro bisogni, il P. Alfonso Barchio dello stesso nostro Terz'Ordine Regolare, Commissario della religiosa Provincia di Calabria e cittadino cropanese, uomo pio e prudente, come lo dice il P. Bordoni, portandosi in Roma espose il caso increscioso alla S. Sede e con decreto del 12 gennaio 1562, rilasciatogli dal Vescovo Flavio Orsini, Uditore Generale di S. Santità Pio IV e Giudice Ordinario della Curia Romana, e sottoscritto dal Notaio D. Cesare Quintilio, ottenne che venisse lanciata la scomunica e severe sanzioni a quanti continuassero a disturbare ed impedire la pubblica venerazione delle sacre Ossa del B. Paolo D' Ambrosio da Cropani, site nella cappella del SS. Salvatore (7) .
Questo importante documento pontificio veniva così a stroncare in tempo 1'ignobile campagna di alcuni malevoli, che, mossi probabilmente da invidia, blateravano contro il culto pubblico che veniva prestato al Beato e il conseguente profluvio di grazie che egli elargiva dal cielo ai suoi devoti.
Quantunque la chiesa del SS. Salvatore fosse assai fuori dell'abitato, essendo a circa un chilometro da Cropani, pure il concorso dei fedeli, che vi si recavano per pregare dinanzi alle reliquie del Beato, custodite in una urna dorata e con cristalli per renderle visibili, era continuo.
Incoraggiati dalle molte offerte e soprattutto dal gran numero di grazie e guarigioni miracolose, che i fedeli ottenevano da Dio per intercessione del Beato, i Padri del Terz'Ordine decisero finalmente di abbandonare il loro convento del SS. Salvatore, troppo staccato dal paese e quindi assai incomodo per la cura dei religiosi infermi e il disimpegno del sacro ministero, e di trasferirsi, insieme con le preziose reliquie, nel nuovo loro convento di S. Maria delle Grazie, che con annessa chiesa avevano costruito in luogo più comodo e più vicino al paese. Il decreto pontificio di potervisi trasferire essi 1'avevano già avuto da Sisto IV, sotto la data del 23 marzo 1476, vivente ancora il Beato Paolo, ma il passaggio definitivo, forse per non aver potuto ultimare la fabbrica prima di allora, avvenne solo nel 1622.
La traslazione delle preziose reliquie ebbe luogo con grande solennità e con la partecipazione del Clero e di tutta la popolazione ad opera principalmente del Superiore del convento, che era allora il P. Francesco Speranza, già Ministro Provinciale della religiosa Provincia di Calabria. Il pacifico svolgimento del culto in onore del Beato era ormai assicurato anche per virtù del suaccennato decreto pontificio ottenuto dal P. Barchio. Le reliquie si solevano esporre in chiesa alla pubblica venerazione dei fedeli e il 25 gennaio d'ogni anno, data della morte, come pure in vista di pubbliche calamità, si portavano processionalmente con grande concorso di popolo per le vie della città.
Anche dalla nuova dimora il Beato continuò, con segnalati favori, a proteggere la sua diletta patria. Così nel 1625, allorché tutte le campagne del cropanese, per una persistente siccità, che durava ormai da otto mesi, erano cosi aride da compromettere irreparabilmente il raccolto dell'annata. Non mancarono preghiere e penitenze solite a farsi in simili pubbliche calamità, ma il cielo continuava ad essere di bronzo e una tremenda carestia si profilava.
I Padri del Terz'Ordine, quando ogni speranza poteva considerarsi svanita, presero la risoluzione di portare in processione di penitenza per le vie del paese le reliquie de Beato. La processione riuscì imponente per l'intervento di tutti gli abitanti, animati da gran fede di ottenere dal loro celeste Protettore la sospirata grazia.
Giunti alla Collegiata, mentre si cantavano le litanie dei Santi, il cielo, da limpido che era, si coprì repentinamente di nubi foriere di abbondante pioggia. Dopo il canto delle litanie non fu possibile continuare la processione per le altre vie della città a causa di una leggera pioggia che non accennava a cessare. Non essendo però sufficiente l'acqua per le arse campagne, il giorno seguente 13 aprile, che cadeva in giorno di domenica, le Autorità civili di Cropani scongiurarono il Superiore del convento a voler esporre il SS. Sacramento, affinché il Signore si benignasse compiere la grazia incominciata per i grandi meriti del Beato. Il Superiore volentieri venne incontro al comune desiderio. Il Clero intervenne con tutto il popolo e una Messa solenne fu celebrata per ottenere la sospirata grazia.
Mirabile a dirsi! Non erano terminate ancora le sacre funzioni che già il cielo cominciò a versare pioggia così abbondante che le campagne ne furono ristorate e abbondanti raccolti diedero in quell'anno.
Così, in mezzo a prodigi e grazie continue, il culto del Beato andava sempre più crescendo quando per la Bolla di Innocenzo X anche il convento di S. Maria delle Grazie nel 1652 venne soppresso (8) .
Nel lasciare questo loro convento i Padri del Terzo Ordine avrebbero voluto portare con sé i preziosi resti del Beato, ma la cittadinanza non lo avrebbe certo permesso, per cui sorge vivo contrasto tra i Padri Cappuccini e i Frati Minori, che avevano i loro conventi in Cropani: chi di loro ne doveva entrare in possesso? Per stroncare ogni litigio, a seguito di una solenne processione con la partecipazione di due Compagnie militari di 150 soldati ciascuna, nel mentre che si era nella chiesa di S. Maria delle Grazie, i soldati stessi s'impossessarono con tanta destrezza dell'Urna delle reliquie che nessuno dei pretendenti ardì farsi avanti e così il sacro deposito venne processionalmente portato in Collegiata.
Non si faceva la processione, come abbiamo detto, solo nel giorno dedicato al Beato, ma in ogni pubblica necessità, particolarmente in occasione di mancanza di pioggia e con tanta efficacia che alle volte la processione era costretta a fermarsi in altre chiese, lungo il tragitto, non potendo più oltre proseguire per la pioggia dirotta. D'ordinario però 1'acqua cominciava al rientro della processione.
Nel 1705 dopo la processione un fatto sorprendente avvenne: due donne osservarono che il colore del volto della statua (9) si era annerito e sudava. Ne diedero subito avviso all'Arciprete e tutti constatarono i1 fatto. La chiesa si gremì di gente. Il P. Serafino Pecchia di Napoli, carmelitano scalzo, che predicava il Quaresimale, parlò in tale circostanza con tale veemenza dal pergamo che scosse i cuori più duri. Tra gli altri un tale Antonio Pucci confessò ad alta voce in pubblico che era andato appresso alla processione per avere a tiro un certo Gioacchino Bruno e ucciderlo per averlo giorni prima ferito. Quindi tirò fuori il pugnale e lo spezzò dinanzi alla statua.
In seguito a siffatti prodigi la devozione verso il Beato crebbe molto e si pensò di erigere nella Collegiata una cappella in suo onore, ma non si veniva a conclusione per la grossa spesa da affrontare. Si ricordò un devoto d'una grazia che a lui aveva concesso il Beato. Aveva egli la madre inferma, la quale, quantunque non giudicata in pericolo di vita dai medici, pure chiese di confessarsi e avere i1 Viatico. Il figlio si oppose perche non lo considerava necessario. La mattina seguente l'inferma perdette la parola e i sensi, né vi fu più speranza essendo entrata in agonia. Questo suo figlio si portò subito in chiesa, vi fece celebrare una Messa e mentre l'andava ascoltando pregava il Beato a concedergli la grazia che la madre potesse ricevere almeno i Sacramenti. Pregava ancora quando un servo gli venne a riferire che la madre aveva ripreso i sensi e la parola e che chiedeva con insistenza i santi Sacramenti. Chiedeva anche che le si portasse presso il letto un quadro coll'immagine del Beato che teneva in casa. Ricevuti i Sacramenti spirò serenamente.
Ora fu appunto questo devoto che volle fare a sue spese la cappella, alla sola condizione che una delle chiavi, dove si racchiudeva il santo deposito, avesse a stare presso di lui.
A questa nuova cappella la gente concorreva numerosa e molti non si partivano se non prima avessero ottenute le grazie che chiedevano (10) .
L'autore del citato manoscritto passa a riferire qualche altra guarigione miracolosa avvenuta in tempi più recenti.
Una tale Lucrezia Baldini di Cropani, moglie di Antonio Perotti, nel 1700 veniva da più tempo tormentata da acerbissimi dolori cagionati da un gonfiore a un ginocchio, che le impediva di stare in piedi. Si fece condurre alla cappella del Beato e avendo unto il ginocchio con l'olio d'una delle lampade, che continuamente ardeva davanti al suo altare, perfettamente guarì e se ne tornò sana a casa.
Un bambino di cinque o sei anni per nome Sebastiano, figlio di Tommaso Ferraro di Cropani, ricevette un calcio così violento che internamente produsse guasto tale che a giudizio dei medici non era possibile che sopravvivesse. La povera madre, sentendo tale tremendo giudizio, non disperò. Corse subito con grande fiducia alla cappella del Beato e con molte lacrime lo pregò per la salvezza del figlio. Prese poi dell'olio della lampada e unse il capo del piccolo moribondo. L'osso del collo che si era abbassato nel ricevere il colpo, ritornò al suo posto e il bambino in breve guarì.
Nella città di Catanzaro un certo Tommaso Bianchi, tessitore di damaschi, ammalatosi, si ridusse in fin di vita e fu liquidato ormai dai medici. Una sua cognata, Isabella Gronda, cercava di consolare i familiari piangenti e riferì come stando in Cropani molte guarigioni si ottenevano coll'olio della lampada del Beato. Bastò questo perche un fratello dell'infermo si recasse subito a Cropani e prendesse un po' di tale olio non senza aver fervidamente pregato nella cappella del Beato.
Tornato in Catanzaro trovò il fratello destituito dei sensi e ciò nonostante fu unto con grande fiducia con quell'olio. Dopo qualche istante il moribondo aprì gli occhi come se si svegliasse da un sonno profondo, meravigliandosi di quanto accadeva attorno a lui. II Parroco, D. Domenico La Manna, credette in sulle prime che fosse una tentazione e gettò dell'acqua benedetta, ma l'infermo disse d'aver veduto un frate francescano pregare per lui e che a sua intercessione il Signore gli ha ridato la salute. Gli raccontarono allora come si era corsi a Cropani per l'olio e che quindi tale frate non poteva essere altri che il Beato Paolo.
Anche nel 1867 una certa Elisabetta Corabi, del fu Luigi e di Vittoria Bitelli di Cropani, depone che il fratello Carlo cadde gravemente infermo e, ridottosi in punto di morte, riacquistò la guarigione non appena la madre lo unse con un po' di cotone intinto nell'olio della lampada del Beato.
Dopo quanto è stato fin qui detto, sia pure in modo cosi breve e conciso intorno alla vita e ai fatti prodigiosi del nostro Beato, è lecito concludere che veramente fortunata è la cittadina di Cropani nell'avere in cielo un tanto protettore.

NOTE
(1) Bibliografia:
a) Atti del processo di beatificazione, Archivio della Curia Gen.le dcl T.O.R.
b) Vita e miracoli del Beato Paolo. Manoscritto trovato nel 1832 e conservato coi predetti Atti del processo.
c) Vita e miracoli del Beato Paolo nel volume manoscritto del P. Francesco Bordoni Sacrum Sillabarium de Sanctorum, Beatorum, Servorum Dei, ecc., Archivio della Curia Generale T.O.R.
d) Vita del Beato Paolo d'Ambrosio da Cropani, del P. Remigio da Cropani.
(2) Cfr. P. Giovanni Fiore, Calabria Illustrata. Tom. II, cap. III.
(3) Questo convento era sito nella località donata dal ricco signore Pietro Massaro, che ivi volle finire i suoi giorni, lasciandovi in eredità tutti i suoi beni. Fu fondato da un certo P. Pietro Pedace proveniente da Bisignano. Sotto Sisto IV i religiosi ottennero di poterlo abbandonare e trasferirsi in quello di S. Maria delle Grazie più comodo e più vicino al paese.
(4) Cfr. P. Fr. Bordoni: Sacrum Sillabarium de vitis Sanctorum.
(5) In tale anno venne soppresso insieme a molti altri conventi dell'Ordine per il decreto di Innocenzo X sui conventini.
(6) Questi particolari sono in gran parte desunti dalla vita manoscritta, che si trova nel fascicolo degli Atti del processo.
(7) II P. Bordoni riferisce, nel citato suo Sacrum Sillabarium, di avere questo importante documento presso di sè, proveniente con gli altri Atti dal soppresso convento del SS. Salvatore.
(8) Nel seguente anno 1653 le rendite del soppresso convento furono divise tra il Capitolo e le monache che erano in Cropani. Vedi: P. Coco : Saggio di Storia Francescana di Calabria, pag. 165.
(9) L'urnetta delle reliquie si teneva chiusa in seno alla statua, come tuttora si può ammirare nella cappella della Collegiata. Nell'urnerta vi è un documento in cui si dice che il 26 agosto 1826, in presenza di Mons. Emanuele Maria Bellodoro, Vescovo di Catanzaro, in corso di S. Visita. furono apposti i sigilli all'Urna che contiene i resti di ossa del Servo di Dio, il cui capo trovasi nel petto di detto simulacro.
(10) L'autore della Vita manoscritta, conservata negli Atti del processo, attesta : "I Padri del Terz'Ordine Regolare, non potendosi portare il corpo del Beato, si portarono via il libro". E altrove soggiunge: "Questi miracoli si sono raccolti dagli Annali del P. Bordoni e da un libro che benché stampato, non ho potuto raccoglierne che poche carte lacere, e stimo che nel medesimo libro stava registrata la vita del Beato".
(11) Oltre il Beato d'Ambrosio molti altri nostri religiosi saranno passati di vita in Calabria in gran concetto di santità. Così dal Remer (Vita del Servo di Dio P. Mariano Postiglione, cap. VI, pag. 77; in nota veniamo a sapere che "questa Provincia calabrese (del Terz'Ordine Regolare), nel 1795 vide morire da gran santo, come era vissuto, il suo ex-Provinciale P. Antonio Corbelli; onde il popolo, proclamandolo cittadino del beato regno, gli tagliò tutto l'abito per sua devozione".

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