lunedì 16 gennaio 2012

21. CHIESA E SOCIETA' NELLA CALABRIA DEL '400 di DON MARIO SQUILLACE (1989)

Prof. DON MARIO SQUILLACE
(Docente di Sociologia, Studio Teologico "S. Pio X" CATANZARO)
Lasciata ben difesa la contea di Melfi e determinato a conquistare il Mezzogiorno, Roberto il Guiscardo irrompe, furibondo, sulla Val di Crati.
Trova inespugnabile il monastero benedettino di Stridula che sottomette alla sua ragione politica con un ardito stratagemma: fa spargere la voce che uno dei suoi soldati fosse morto ed ordina di depositarne la bara sulla soglia della Chiesa.
Ignari e vinti da pietà - onde dare sepoltura cristiana - i monaci se la trasportano entro il sacro recinto.
Improvvisamente il mentito morto si desta e con le armi in pugno minaccia i monaci che atterriti fuggono senza trovare scampo, perché ad attenderli armate, sulla porta del monastero, se ne stavano le bande normanne.
Guglielmo Appulo che riferisce l'episodio si affretta a chiarire: "Valse a farli perdere l'inganno di un morto. Ma non ci fu né la distruzione del monastero né la dispersione del gregge monastico" (1).
Il luogo, ciò nonostante, viene trasformato in fortilizio militare dal quale partono le iniziative ed i piani d'attacco per debellare i cosentini e quanti - scrive il Malaterra - ancora in Calabria restano ribelli" (2).
IL Guiscardo passa, per le nostre terre, conquistatore incendiario e feroce.
L'ultima resistenza l'ebbe a Scilla "ma presto - scrisse J. Norwich - i greci si resero conto che la loro causa era perduta e così in una notte d'estate senza luna, s'imbarcarono in segreto, diretti a Costantinopoli. Quella notte segnò la fine del dominio greco in Calabria" (3).
Con questa conquista scompare, non soltanto un dominio, ma una cultura, quella bizantina, che il monasticismo italo-greco, l'eremitaggio, l'ascesi cenobi¬tica, la lingua, il rito, la liturgia, gli scriptoria, l'arte calligrafica, l'innografia, la trascrizione dei codici ed una affascinante architettura, aveva reso la Calabria emula dei grandi centri monastici d'Oriente.
Il crollo della rocca di Scilla segnava, irreversibilmente, il tramonto di un'epoca ed il Mezzogiorno - conteso dagli Imperatori d'Occidente perché considerato parte del Regno Italico, dagli Imperatori d'Oriente per il secolare dominio bizantino e dal Papa che ne ha sempre rivendicato il possesso antico ¬diveniva regno normanno.
Leone IX (1048-1054) aveva tentato, il 1053, un confronto militare con gli Altavilla ma era caduto prigioniero a Civitate.
Dopo i brevi pontificati di Vittorio II (1055-1057) e di Stefano IX (1057-1058), i1 24 dicembre 1058, in Siena e col determinante consiglio di Ildelbrando, i cardinali eleggono Papa Gerardo di Borgogna che assume il nome di Niccolo II.
Particolarmente accorti, i Normanni sanno di non dovere perpetuare col Papa il conflitto e si addiviene, il 1059, allo storico concordato di Melfi: Niccolo II ne riconosce le conquiste e nomina Roberto "Duca di Puglia, di Calabria e di Sicilia".
L'investitura - sotto il profilo formale - è di tipo feudale ma ai fratelli Altavilla basta per sentirsi giuridicamente legittimati nel dominio politico dell'Italia meridionale.
"Io Roberto - questo il rescritto del Guiscardo - per grazia di Dio e di S. Pietro duca di Puglia, di Calabria e prossimamente di Sicilia, giuro che sarò fedele a S. Romana Chiesa, che offrirà ogni aiuto perché S. Pietro detenga ed acquisti "regalie", le possegga con titolo giuridico di possesso, al fine di governare con sicurezza ed onore il Papato romano
promette che non invaderà, non conquisterà e non deprederà il patrimonio di S. Pietro e del Principato: si studierà, anzi, e con retta fede che la S. Romana Chiesa, annualmente, abbia un tributo dalla terra di S. Pietro
s'impegna di rimettere sotto la potestà del Papa tutte le chiese esistenti nel suo dominio e d'essere fedele soltanto alla S. Romana Chiesa
di prodigarsi perche - dopo la morte del pontefice - sia eletto dai cardinali, dal clero e dal popolo di Roma un Papa, tutto determinato all'onore di S. Pietro. Io Roberto" (4).
Per il Concordato di Melfi la politica ecclesiastica dei Normanni è tutta determinata alla rilatinizzazione del Mezzogiorno e che si attua attraverso il ritrasferimento delle diocesi calabresi di rito greco dalla giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli a quella del Vescovo di Roma, il riordinamento delle diocesi ed un più esteso e rafforzato insediamento del monachesimo latino-occidentale.
Delle "Tres Tabernae" (5) scompaiono Taverna e Stilo e con esse la diocesi di Amantea.
Si istituiscono "nuove" la diocesi di Catanzaro (6), di S. Marco Argentano, di Martirano e di Mileto nella quale va a confluire tutto il vasto territorio ecclesiastico di Vibona e Tauriana.

Le diocesi calabresi in età normanna

* Metropolia di Reggio - sec. IX - :Reggio-Gerace-Squillace-Nicotera-Tropea-Nicastro-Crotone-Oppido-Bova-Catanzaro
* Metropolia di S. Severina - sec. IX - : S. Severina-Isola C. R.- Umbriatico-Strongoli-Belcastro-Cerenzia-S. Leone.
* Metropolia di Cosenza: Cosenza-Martirano
* Arcidiocesi senza suffraganee: Rossano
* Soggette alla S. Sede: Mileto-Cassano-Bisignano-Malvito-S. Marco (7) .

(nota)
- REVISIONE delle diocesi dopo il Concordato del 21 marzo 1818 tra Pio VII e Ferdinando I: Le diocesi sono ridotte da 25 a 18.
- DECRETO Congregazione di Visconi: Denominazione e Sede delle diocesi in Italia: 30.09.1986. Le diocesi passano da 18 a 12.

Decisivo - per lo sviluppo della vita ecclesiastica - l'insediamento ed il rafforzamento del monachesimo di regola benedettina:
-nella Calabria settentrionale s'afferma
*S. Maria di S. Eufemia (Nicastro),
*S. Maria della Mattina (S. Marco),
*S. Maria di Camigliano (Tarsia-Rossano)
-ed in quella meridionale:
*la SS.ma Trinità e S. Michele Arcangelo (Mileto) e
*S. Maria Cattolica e dei XII Apostoli (Bagnara), fondata dal conte
Ruggero nel 1085 ed affidata ai Canonici Regolari di S. Agostino (8).
*Sono coevi, sull'altipiano serrese -in diocesi di Squillace- la nascita della
Certosa di S. Maria e di S. Stefano del Bosco e gli insediamento circestensi
della Sambucina di Luzzi e di S. Maria di Corazzo (9).
*Non mancò neppure un privilegiato aiuto ai monasteri greci fedeli a Roma: a S. Giovanni Cheresti di Stilo, a S. Maria di Popsi di Gerace, a S. Nicodemo di Mammola e a S. Leonardo di Catanzaro.
I vescovi greci intanto vengono man mano sostituiti con vescovi latini e l'elemento greco vi sopravvive solo per il mantenimento -nei pochi monasteri superstiti- del rito greco-bizantino.
Conserveranno la liturgia di S. Giovanni Crisostomo, Rossano -sede arcivescovile autocefala- sino al 1460 e Gerace sino al 1480.
Per quest'opera di riordinamento di tutto i1 sistema istituzionale ecclesiastico condivisibile il positivo giudizio di Ernesto Pontieri: "Il fervore con cui i Normanni riassettarono la chiesa calabrese suscitò in questa regione un risveglio di sentimento religioso che si tradusse in egregie opere civili, artistiche ed assistenziali" (10).
Ma si deve anche ai Normanni -realizzata l'unità politica del Mezzogiorno- l'introduzione del "feudalesimo".
Si istituiscono le Contee di Bova, Martirano, Sinopoli, Squillace, Tarsia e Catanzaro ed assume rilevanza socio-politica la classe dei duchi, dei baroni, dei vassalli, sorretta dal sistema dei diritti feudali che, ignoti all'ordinamento giuridico bizantino, creano, man mano, nella società tensioni e conflitti sociali.
Federico II si trovò così, giovanissimo re, a dovere fronteggiare due gravissimi problemi: l'anarchia dei baroni e l'indebolimento dell'autorità dello Stato.
Cercò di frenare l'anarchia baronale con l'editto "De resigrandis privilegiis", teso a revisionare i titoli di legittimità delle concessioni e dei privilegi feudali, e di dare forza all'autorità dello Stato attraverso un più accentuato potere monarchico, con le "Costituzioni" di Melfi (1231).
Era il tentativo di dare ordine e pacificazione ad una società sociologicamen¬te frammentata e pesantemente ingiusta: vi sopravvive la "schiavitù" come istituto giuridico, vivono una condizione di sfruttamento i coloni ed i contadini, la piccola borghesia non ha rilevanza politica ed è sempre più forte il blocco della nobiltà (militari, baroni, conti), preoccupato di difendere e conservare ogni sorta di privilegio.
B. Croce -con una sensibilità tutta razionalistica- di Federico II esalta "la legislazione ricondotta ad altezza romana e a sistema la tendenza razionalistica al superstizioso e barbarico e passionale procedere che ancora perdurava in altre parti d'Europa: l'idea dell'indipendenza dello Stato dalla Chiesa, non più nella forma dell'invecchiato Impero, né dell'assolutismo cesareo-bizantinoislamitico" (11).
L'idea moderna di Stato non era nata con Federico di Svevia -come ha preteso la storiografia storicista d'ispirazione hegeliana-: aveva avuto una meditata elaborazione col maestro Rufino cui si deve la distinzione tra il "jus auctoritatis" ed il "jus administrationis" in virtù della quale il potere del Papa è nell'imperium spirituale, mentre ai "reges" ed ai "juduces" è riconosciuta una propria, autonoma "jurisditio" (12).
Del resto la distinzione dei poteri era patrimonio della tradizione e punto acquisito di dottrina del magistero della Chiesa come desumibile dalla letteratura patristica e dalla più nota lettera di Papa Gelasio (492-496) all'imperatore Atanasio:
"Sono due i principi che reggono il mondo: la sacra autorità dei vescovi e il potere del sovrano" (13).
Papa Gelasio riafferma l'autonomia, l'indipendenza e la preminenza del "Sacerdotium" rispetto al potere imperiale che, nella nuova economia cristiana, è chiamato a svolgere funzioni e compiti di ministerialità e di servizio alla causa della fede e della società.
Si è ben lontani dal "teocraticismo" bizantino e non troverà consenso -nel secolo XVII- la concezione "jerocratica" elaborata dal Campanella.
Federico II -lambito da una evidente patina di anticurialismo- è determinato per forme e pratiche di governo di tipo "statalista" e ciò suscita iraconde ribellioni sino a spingere i Morano, i Ruffo e la gran parte della nobiltà calabro-¬sicula a sposare la causa del "guelfismo" papale.
In questo quadro d'acceso antagonismo ha luogo lo scontro campale, presso Spezzano Albanese, tra Manfredi e Bartolomeo Pignatelli, arcivescovo di Cosenza, il quale, dopo la sconfitta, corre a Roma e con mandato di Clemente IV (1265-1268) si porta in Francia e persuade Carlo I d'Angiò a scendere nel Mezzogiorno.
Lo scontro ha luogo il 26 febbraio 1266 a Benevento e Manfredi resta ucciso in battaglia.
A Dante era giunta voce che "Il Pastor di Cosenza" -su suggerimento del Papa- avesse fatto disseppellire il corpo di Manfredi per rigettarne le ossa "fuor del Regno, quasi lungo il Verde dove le tramutò a lume spento" (DANTE: Purg. III, 43).
Ma si tratta di mera leggenda.
Carlo d'Angiò scrisse testualmente al Papa:
"Ego itaque, naturali pietate inductus, corpus insum cum quadam honorifi¬centia sepolturae non tamen ecclesiasticae, trahi feci" (14).
"lo pertanto, mosso da naturate pietà, feci disseppellire lo stesso corpo per una onorata sepoltura, sebbene non ecclesiastica".
Andava in esecuzione -dopo la sconfitta sveva- "Il Capitolato" nella "forma proposta da Bartolomeo Pignatelli" per il quale il regno di Sicilia tornava feudo della Chiesa e Re Carlo diveniva "Vassallo" del Papa.
In Calabria -dopo la stipulazione dell'accordo e la vittoria di Carlo- vescovi ed abati aprirono liti e contenziosi civili per la restituzione dei beni usurpati da parte della nobiltà, legata agli svevi, e fu conflitto duro e largo tra le parti sino al punto di richiamare l'attenzione di Martino IV (1281-1285), costretto ad autorizzare -con Breve del 10 dicembre 1282- il re a porre "castra et arces" -presidi e fortilizi- persino nelle pertinenze ecclesiastiche.
S'accesero, carichi d'odio e ribelli, i "vespri siciliani" (1282): (la Sicilia e la Calabria tornarono terre di contesa e di risse perché la vecchia nobiltà, proterva ed ostinata, avvicinatasi ai siculo-aragonesi, prese a disseminare non poco scompiglio presso i vescovadi di Reggio Calabria, Nicastro, Martirano, S. Severina, Umbriatico e Strongoli.
Inaudito e barbaro il crimine di Bisignano: un gruppo di facinorosi, al soldo del conte di Corigliano, irruppe nell'episco¬pio uccidendo alcuni parenti del vescovo Federico.
Catturati, poi, lo stesso vescovo, una ventina d'altri familiari, dei chierici e dei laici, li condussero sul confine della città.
E li trucidarono.
Tagliato il capo e le mani del vescovo Federico, lo mostrarono -in orrenda ostentazione- al pubblico. Gettati i resti alle bestie, ne impedirono pietoso seppellimento.
Passarono poi alla rapina delle reliquie, delle croci, dei calici, dei paramenti pontificali e di tutto il tesoro della Chiesa, dividendoselo " (15).
Mandante spietato del delitto, Ruggero Sanseverino, conte di Corigliano.
Se ne ignora il motivo, ma non possiamo non pensare ad una delle tante contese, sorte per la rivendicazione d'un pezzo di feudo, l'esazione delle tasse o il dominio d'un territorio.
Roberto d'Angiò, morto il 19 gennaio 1343, lascia erede sul trono di Napoli Giovanna I e sulla Calabria s'abbattono cinquant'anni di desolazione.
Quasi non fosse bastata la guerra sterminatrice del "vespro" vi sopraggiunge una terribile epidemia che dissemina altra miseria, altra morte ed altri lutti.
Ed è ancora terra contesa, per il dominio dinastico, tra angioini e durazzeschi.
La crisi si fece ancora oscura col malgoverno di Giovanna II e le nostre chiese conobbero -pur esse- nel gran travaglio politico, lunghi e tristi decenni di abbandono spirituale ed istituzionale.
La realtà ecclesiastica è in Calabria -nel '400- pesante, difficile e complessa.
Essa si presenta come un affresco drammatico nel quale l'ombra, rispetto alle poche luci, è dominante ove si pensi ai contenziosi per le commende e per i fitti, per le provviste beneficiali e per le rendite, per l'assegnazione dei vescovadi e delle pingue parrocchie, per la presenza d'un clero analfabeta e corrotto, più incline al litigio per un ducato che avvampante di passione pastorale per la cura delle anime.
IL Regesto di Francesco Russo è la documentazione netta e puntuale dello stato di crisi, di degenerazione e di disgregazione in cui affondava l'organizzazione ecclesiastica.
Galterio -Nunzio Apostolico a Napoli- in data 12 dicembre 1365 è costretto a comminare la scomunica contro Ser Giovanni de Valentino, Decano del Capitolo di Cosenza, ed altri perché colpevoli di appropriazione dei beni del fu arcivescovo di Cosenza Nicola (Caracciolo) e per altri capi d'accusa (16).
Non meno triste -nel secolo XV- lo stato del monachesimo basiliano.
Ce ne ha lasciato memoria documentata Atanasio Calceopilo nel Liber Visitationis: lì dove erano stati trascritti e miniati i Codici, esperimentata la santità dell'ascesi, conosciuta la macerazione del corpo e l'estasi del cuore, l'amore tenero per la Theotokos e l'ineffabile gusto di Dio, vi abitavano l'ignoranza, lo squallore morale, il vizio, la crapula e il turpiloquio.
Si erano come diradate le ombre luminose di Nilo, di Bartolomeo, di Giovanni Theresti, di Ambrogio, di Nicola, di Nicodemo, di Fantno, di Basilio, di Leoluca (17).
Gioacchino da Fiore -con forte tumulto del cuore- sul finire del 1200 aveva gridato e scritto: "Verrà Cristo per espellere dalla sua casa questi mercanti e far vendetta contro i figli di Levi che si sono impinguati della sostanza del Crocifisso; si vendono e si comprano le Chiese; si commette il sacrilegio di ammettere al chiericato tutti coloro che ambiscono ad esso per lucro; vengono respinti coloro che vivono nel rinnegamento e nel nascondimento, mentre vengono associati al clero indifferentemente coloro che posseggono astuzia" (18).
Non sono risparmiati gli stessi monaci:
"Dal tempo di S. Benedetto, sotto cui il popolo cristiano fu confermato nella fede cattolica, è scomparsa dal mondo quella perfezione della vita eremitica quando i monaci cominciarono ad avere fattorie e contadini, e a non avere della gloria monastica altro che il nome" (19).
Gioacchino da Fiore non è in questi spunti e denunzie, ch'erano stati già di Pier Damiani e di Bernardo, e saranno, via via, di Brigida e di Savanarola.
Gli zampillano dal fondo della coscienza, rischiarata dalla luce del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, della cui presenza è segnato il tempo dell'uomo.
La carnatitas e l'animalitas nella Chiesa sono fonte avvelenata di colpe e di tradimenti ma tutto -anche il peccato istituzionale e degli uomini peccatori- è dinamicamente orientato e proteso verso la spiritualitas e la Ecclesia fulgens per cui tocca ai chierici "predicantes, monachi e contemplantes", ritracciarne il cammino di purificazione e di santità.
L'abate florense mai pensò ad un "duplex religionis ordo": il movimento francescano assumerà questa intuizione ecclesiologica come una chiara e precisa profezia sui due ordini religiosi -il francescano ed il domenicano- dando origine a quella posterità spirituale, ambiguamente carismatica ed incerta tra fervore escatologico-apocatittico e pericolosa eresia.
Ferma e limpida l'ortodossia dell'abate Gioacchino, come emerge dall'Epi-stola prologalis o testamento: "Io son pronto a tenere quel che essa (la Santa Sede) ha deciso o deciderà di osservare, a non difendere alcuna dottrina contraria alla sua santa fede, credendo integralmente quel che essa crede ed accogliendo la sua correzione sia in campo morale che dottrinale, respingendo quel che essa respinge, accogliendo quel che essa accoglie, e credendo fermamente che le porte dell'inferno non potranno prevalere contro di essa, anche se le capiterà di venir talvolta turbata o venire agitata dalla tempesta, e che la sua fede non verrà meno sino alla fine del mondo" (20).
Non indebito, pertanto, in questa relazione ed in questo convegno, il richiamo dell'abate Gioacchino, ancorato all'ortodossia della fede, docile a Roma e con una esperienza di vita, cristiana e monastica, severissima per cui nessuna sorpresa se i suoi contemporanei lo sentirono e lo venerarono "beatus Joachim".
Francesco d'Assisi -richiamato forse dalla lunga storia del nostro monasti-cismo italo-greco-benedettino e dalla nuova dell'ascetismo contemplativo del "Florense"- scelse di costituire in Calabria una delle prima Provincie-Madri: v'inviò Pietro S. Andrea di Faenza e sorse a Castrovillari il primo convento francescano calabrese.
Dal Pollino, aspro ed inaccessibile, era partito -predatore di terre ed avventuriero incendiario- Roberto il Guiscardo: da l'altipiano di Castrovillari scende, come un fiume caldo di luce, il movimento dei "Minori" che prenderà ad espandersi ed insediarsi nei centri più importanti della regione disponendo, nel 1316, di quattro Custodie e quaranta Conventi.
Nella lotta tra Gregorio IX e Federico II i figli di S. Francesco sposeranno la causa del Papa ma saranno soprattutto accanto alla gente povera, più somi¬gliante a Cristo, nella cui "Passione" è carnalmente iscritta la propria quotidiana sofferenza.
L'albero francescano avrà in Calabria la fioritura della "Riforma Osservan¬te", dei "Minori Cappuccini" e del "Terz'Ordine Regolare" col suo Convento del SS.mo Salvatore in Cropani, onorato e santificato dal "Beato Paolo degli Ambrosi".
Vorrei concludere con un auspicio dell'anima: che il vestir duro nel ruvido sacco di lana, il cingersi con aspra fune, il cilizio, l'andare scalzo, le vigilie lunghe e i digiuni, i1 dormire sulla tavola dura entro un buco di cella che furono del Beato Paolo e di Giovanni Fiore si ripropongano come messaggio di novità di vita, urgente in questo nostro difficile tempo, aperto su l'orizzonte del terzo millennio cristiano.
NOTE
1. G. APPULO: "ignaros fraudis quos fallere vivi non poterant homines defuncti fictio fallit non monasteri tamen est eversio facta nec estirpatus grex est monasticus inde", in Gesta Roberti Guiscardi, 1,II,335 e ss. Ed. M. Mathieu
2. G. MALATERRA: "firmans ei Castrum in Valle Cratesi, in loco qui Scribla dicitur, ad debellandum Consentinos et eos qui in Calabria rebelles erant" in De
rebus gestis Rogerii Calabriae et Sicilia Comitis, in: MIGNE, PL, 149, c. 1108 Ed. Pontieri, BOLOGNA, 1929
3. J. NORWICH: I normanni nel Sud, TORINO, 1974, pag. 154
4. M. SCADUTO: Il monachesimo basiliano, ROMA, 1947, pag. 76
5. R. CARBONELLO: Chronaca Trium Tabernarum, in: Cod. Vat Lat. 4936 - in F. Ughelli: Italia Sacra, IX, op. cit. pp. 487-499 - a cura di Caspar: Der Kronic von Tres Tabernae, 1967 - cfr. Rubino-Teti: Catanzaro, BARI, Laterza, 1987, pag. 171, nota n. 58
6.. CALLISTO Bolladi Callisto 1l, in: G. Santagata: Calabria Sacra, REGGIO CAL., Ed. Parallelo 38, 1974, pp. 119-124
7. F. RUSSO: Organizzazione ecclesiastica nell'evo bizantino, in: Storia della Chiesa in Calabria, SOVERIA MANNELLI, Rubettino, 1982, Vol. I, pp. 185-215 - Ristrutturazione della Chiesa in Calabria nel 1482, cfr. Cod. Vat. Lat., 9239 e Russo: Rvc, n. 12702-12703-12704-12705-12706
8. F. RUSSO: Storia della Chiesa, op. cit., pp. 382-385
9. F. RUSSO: Storia della Chiesa, op. cit. pp. 400-407
10. E. PONTIERI: Tra i Normanni nell'Italia meridionale, NAPOLI, 2a Ed., 1964, 186
11. B. CROCE: Storia del regno di Napoli, BARI, Laterza, 1966, pp. 8-9
12. S. MOCHI ONORY: Fonti canonistiche dell'idea moderna di stato, MILANO, Vita e Pensiero, 1951
13. GELASIO: Lettera all'imperatore Atanasio, in AA.VV.: Autobiografia della Chiesa -a cura di M. Meslin e J. Loew- FIRENZE, Sansoni, 1981, pp. 160-161
14. F. RUSSO: Storia della Chiesa op. cit., Vol. IL, pag. 518
15. F. RUSSO: Rvc, n. 6503 del 23 maggio 1340
16. F. RUSSO: Rvc, n. 7781 del 12 dicembre 1365
17. A. CHALKEOPOULOS: Liber Visitationis -a cura di M. H. Laurent e A. Guillou- CITTA' DEL VATICANO, 1960
18. GIOACCHINO DA FIORE: Tractatus super auattuor Evangelia -a cura di
E. Buonaiuti- ROMA, 1930, pp. 243-248
19. GIOACCHINO DA FIORE, Concordia Novi et Veteris Testamenti, VENEZIA, 1519, 101
20. GIOACCHINO DA FIORE: Epistola rologalis, in Concordia, op. cit.
21. F. RUSSO: Storia della Chiesa, op. cit., pp. 546-547
22. F. RUSSO: Storia della Chiesa, op. cit., pp. 538-539
23. E. MISEFARI: Il Consolato dell'arte della seta in Catanzaro. Statuto: anno1519, in Storia sociale della Calabria, MILANO, Jaca Book, 1976, pp. 187-216

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